PROLOGO: Un solo posto, la Terra Selvaggia, nel cuore segreto dell’Antartide.

 

Tre scenari. Tre situazioni diverse. Tre luoghi diversi.

Un solo problema.

 

Scenario 1: In un campo improvvisato presso le rive di un fiume si trovano i quarantaquattro soli rappresentanti viventi della stupefacente razza degli Esuli. Rettili antropomorfi, sono gli ultimi di un popolo nato per caso dagli esperimenti atomici dell’Uomo, e dall’Uomo perseguitati fin quasi all’estinzione. Si trovano qui dopo avere percorso un lungo e difficile cammino dal continente nordamericano. In questo momento, la loro leader, C’rel, ha la responsabilità di proteggerli e guidarli mentre alcuni dei più forti fra loro sono lontani…

 

Scenario 2: Nei pressi di una palude, cinque Esuli maschi -Sai, il nome che possiedono quattro fratelli monozigoti uniti in un legame-gestalt, e Khadar, il più potente e feroce degli Esuli, il loro comandante militare e braccio destro di C’rel- intenti a portare a termine la loro missione, sono stati fermati da…un essere umano. Una femmina che, per qualche ragione, intendeva proibire ad ogni costo la presenza di estranei nella ‘sua’ palude, facendo così perdere tempo prezioso agli intrusi…

 

Scenario 3: In un villaggio, lontano dall’accampamento degli esuli, ma abbastanza vicino da costituire una possibile minaccia, si trova prigioniera colei per la quale Khadar e i suoi si erano allontanati, lasciando sguarniti gli altri. La femmina Esule si chiama Alara. Ora si trova in gabbia, ma fino a poche ore prima si era trovata libera, nel cielo azzurro di quella che doveva essere la loro nuova patria. E la sua sola speranza di libertà è un estraneo che, per diverse ragioni, non fa che ispirarle diffidenza: un dinosauro che un tempo era un uomo. Stegron.

 

 

MARVELIT presenta

Episodio 2 - Strane Alleanze

 

 

“Stegron…perché sei prigioniero?” Alara aveva freddo, quasi batteva i denti. Avvertiva il peso di un sonno invincibile, ma tenne duro. Un Esule non avrebbe mai mostrato debolezza!

“Perché gli umani hanno paura di noi. Ssono piccoli e deboli, e quelli come noi glielo ricordano,” rispose la voce dall’oscurità.

Alara percepiva il suo odore, odore di rettile, indubbiamente…ma lei voleva vederlo. “Come possiamo uscire di qui? Le gabbie sono forti, e…”

“Ssi possono aprire, ragazza.”

“Come?”

“Ti hanno legata con dei ceppi?”

“No.”

“Allora avvicina la tua gabbia alla mia.”

L’Esule si sciolse dalla sua posizione semifetale. “Come faccio?” Per Antesys, si sentiva così stupida.

“Alzati in piedi quanto più possibile. Poi ssegui la mia voce e avvicinati.”

Lei lo fece. Allo stesso tempo, si udirono dei fruscii dall’altra gabbia. “Ci sono, Stegron.”

“Allunga le braccia, femmina. Portale versso il basso. Se non senti qualcossa ssubito con le mani, riprova cambiando direzione fino a quando…ssì, quella che hai appena presso è la mia coda. Ora tira.”

Lei obbedì. La carne sotto la sua presa era davvero forte. E le estensioni che percepiva dovevano essere gli aculei…

“Tira!” il comando secco la spronò a raddoppiare gli sforzi -le sembrava incredibile, all’inizio, ma ora capiva che la prospettiva di essere di nuovo libera la riempiva di rinnovate energie…

Persa in quelle considerazioni, Alara quasi dimenticò di avere tirato abbastanza da portare le gabbie a contatto. “E ora…cosa…faccio…”

“Avvolgi l’esstremità che sstai reggendo alle tue ssbarre…ssì, cossìì.” Alara sentì con le mani la potente coda chiudersi ad uncino intorno al metallo, con gli aculei a fare da leva. Poco dopo, le sbarre iniziarono a scricchiolare…e infine, con un suono come di uno scoppio, furono strappate via! Pochi istanti dopo, Alara udì il metallo urtare il suolo con un clangore che le sembrò forte come la voce dell’Onnipotente.

La gabbia di Alara dondolò all’indietro.

“Ora vattene,” disse Stegron. “Vai dalla tua gente. Porta qualcuno che mi possa liberare. Consserva le forze per volare via.”

In quel momento, una porta si aprì. Una lama di luce sempre più ampia rivelò l’ambiente di mattoni cotti bene isolato…e i corpi. Corpi di esseri umani e non, delle più disparate razze e specie. Corpi appesi a grossi ganci da macellaio, mummificati…

Una lama di luce da cui entrò, misericordiosamente, anche il prezioso caldo!

Due uomini, con indosso niente più di perizoma neri ed elaborati tatuaggi corporei, entrambi perfettamente rasati, entrarono di corsa. Impugnavano delle lance dalle lame ricurve come falci e frastagliate.

Non sprecarono tempo a parlare o a fare inutili commenti. Stando ognuno a portata dell’arma dell’altro, esaminarono rapidamente l’ambiente. Ogni volta che entravano in una zona d’ombra, i loro occhi brillavano come quelli dei gatti.

Uno di loro guardò verso Stegron, ma l’uomo-dinosauro era ancora al suo posto. La coda, appesantita da un ceppo, pendeva dalla gabbia e non poteva certo usarla per liberarsi…

Stegron ricambiò l’impassibile sguardo dei suoi carcerieri con un’espressione…divertita, espressione che si accentuò quando li vide sbarrare gli occhi alla vista della gabbia frantumata.

Quando quegli sciocchi capirono, era già troppo tardi! Una specie di ombra fu su di loro: Alara piantò la prima sbarra della sua prigione nello sterno del carceriere. Il secondo ricevette il colpo letale direttamente nell’occhio. Entrambi caddero senza avere neppure il tempo di urlare.

Immediatamente, l’Esule si chinò sulla sua prima uccisione. Stegron vide le zanne balenare, poi ci fu il frenetico suono di mascelle e muscoli lacerati.

L’uomo-dinosauro decise che doveva saperne di più sulla razza di lei: aveva girato la Terra Selvaggia in lungo e in largo, e non aveva mai visto prima gente del genere. Lo stesso, cosiddetto popolo-dinosauro, non vantava una simile struttura corporea e ferocia… “Ragazza.”

Lei sollevò la faccia lorda di sangue dal suo pasto. Non c’era in lei alcuna traccia della giovane solare ed ingenua di poco prima.

“Il piano è cambiato: vieni da me e liberami. Devi ssolo mettere la mia coda dentro la gabbia, Ci pensserò io al ressto, inclussa la nosstra via di fuga.”

Lei esitò…eppure, nelle parole di quel suo ‘simile’ c’era qualcosa di…convincente, ragionevole…

Alara abbandonò il pasto e fece quanto le fu detto. Dopo che ebbe infilato la coda acuminata a mo’ di molla contro le sbarre, si udì di nuovo quel familiare scricchiolio… Poi le sbarre vennero via!

“Eccellente! Ora tirami giù, non preoccuparti di andarci piano.” E lei obbedì alla lettera. Lo tirò per la coda e lo fece cadere giù. A mezz’aria, Stegron fece una capriola, ed atterrò sui piedi. Fece scattare la coda e distrusse i ceppi.

“Non posso portarti via con me, però,” disse lei. “Sei troppo pesante.”

“Non importa, lo avevo messo in conto. Ma ora dobbiamo uscire di qui. Ssei pronta?”

La coppia uscì di corsa.

Si ritrovarono in un lungo corridoio di pietra, che si estendeva su entrambi i lati in una struttura circolare. Ogni pochi metri, su entrambi i lati c’era una doppia porta identica a quella della loro prigione.

“Non avevo previssto la tua determinazione contro quessta gente, credevo che ssaressti sscappata via ssubito.”

Lei lo fissò con  una luce strana negli occhi. “Tu non sai quello che i loro simili ci hanno fatto penare, Stegron.”

 

La donna misteriosa non si era mossa di un millimetro. Restava lì, sospesa sulla superficie della palude, nel suo costume rosso con stivali e bracciali d’oro. Nei suoi occhi non c’era che indifferenza per le cinque potenti creature davanti a lei.

Khadar avanzò verso di lei. “Una nostra compagna è in pericolo. E per raggiungerla noi passeremo di qui, che ti piaccia o no, ‘Magog’.

“Tua è la scelta. Anche di morire, se lo desideri.”

Khadar era una figura imponente: un maschio nel pieno della forma, dal muso di drago ed una criniera acuminata con quattro corna lunghe ed acuminate rivolte all’indietro. La sua coda era spessa e frastagliata di aculei. Era il più robusto e forte degli Esuli, una vista da temere.

Khadar avanzò. A passi lenti, ma determinati, una forza intenta a non farsi arrestare.

Gli occhi della donna in costume scintillarono.

Il corpo dell’Esule urtò la barriera invisibile! Energia crepitò intorno a lui. Fu doloroso, ma Khadar continuò ad avanzare.

I fratelli Sai osservarono il loro leader avanzare nel fuoco. Videro l’energia danzare sulle sue carni, ma lui non rallentò.

La donna continuò a fissare impassibile l’invasore.

Il muso di Khadar si contrasse, rivelando le zanne. I muscoli si tesero allo spasimo, la pelle fu percorsa da increspature, la bardatura di cuoio che portava al torace bruciò. Ma lui non rallentò.

Proprio quando sembrò che il suo corpo dovesse iniziare a bruciare sotto quell’assalto, quando la vista si fece annebbiata e ogni fibra urlava già per il dolore…l’assaltò cessò.

Khadar riuscì a restare in piedi, ansando appena. Lo sforzo era stato tremendo, le scaglie erano annerite in più punti, ma lui non avrebbe dato al nemico la soddisfazione di cedere e di cadere a terra!

“Le tue intenzioni sono sincere,” disse la misteriosa Magog. “E sei più forte di tutti coloro che sono passati di qui.” Avrebbe potuto commentare il tempo, per l’emozione che ci mise. “Ti aiuterò nella tua ricerca, se lo desideri, ma in cambio dovrai aiutare me. Adesso.”

“Possiamo farcela senza di te, umana.”

Per la prima volta, la donna sorrise. “Non sono umana. Quella che vedi è solo una proiezione olografica. Le difese che hai appena affrontato sono quelle dell’astronave in cui il mio vero corpo è ospitato.

“Non c’è tempo di spiegare. Devi immergerti nella palude, raggiungere la nave. Sto ordinando ai sistemi di predisporsi ad accoglierti. Sarà una prova dura, e…”

“Perché non puoi liberarti da sola? Non puoi neppure aiutare te stessa…figuriamoci noi!”

“Sono prigioniera della mia stessa nave, ecco perché.” A quel punto, l’immagine cambiò, lasciando spazio a una visione della Terra. “Io ed il mio compagno Siamo stati inviati su questo mondo per rintracciare una colonia di Plodex inviata su questo mondo diciottomila anni fa, durante l’ultima grande glaciazione. La nostra nave fu però danneggiata durante l’ingresso nell’atmosfera, e precipitammo in quest’area.

“L’astronave era irreparabilmente danneggiata. La maggior parte dei sistemi era in fase di riavvio. Io ed il mio compagno eravamo ancora nelle matrici di incubazione, indifesi.

“Un nativo di questo mondo entrò nella nave, e prelevò uno di noi due, il maschio, scambiando per morte il mio stato di animazione sospesa.[i] Non seppi più nulla del suo destino, ma so che dopo che la nave fu affondata nella palude, i sistemi essenziali tornarono finalmente in funzione. La mia incubatrice continuò a predispormi alla maturazione, ma non poteva liberarmi a causa di un danno causato dall’impatto.

“Teoricamente, le riserve di energia possono durare ancora per milleduecentoventi anni al presente stato di utilizzo, ma ho bisogno di essere libera al più presto per completare la mia missione. Allo stato presente, siete la mia sola opzione. In cambio, vi aiuterò con il vostro problema.”

Khadar considerò l’alternativa che non c’era: era chiaro che questa creatura, chiunque fosse, avrebbe potuto uccidere a fronte di un no.

Tentare la fuga? Almeno i Sai si sarebbero salvati…ma quella opzione fu subito scartata! Nessun Esule sarebbe mai più fuggito sul proprio territorio!

Khadar avanzò verso l’acqua. Spiccò un salto e si immerse.

 

C’rel non aveva idea di quanto tempo sarebbe occorso alla squadra di Khadar, e non intendeva angosciarsi con quel dubbio -dopo tutto, loro tutti erano in una terra nuova e sconosciuta.

Per adesso, non c’erano segni di panico fra gli accampati. Come sempre, la tensione era palpabile, tutti si muovevano entro l’area delimitata da Khadar, gli sguardi alla giungla erano furtivi, attenti, ma ormai quella era routine.

Almeno, il cibo non mancava. La pesca era stata generosa, i ventri erano sazi.

La femmina, muso quasi piatto, la testa decorata da una criniera folta e acuminata, continuò la sua ispezione dell’accampamento provvisorio. Lei era l’ultima rappresentante della sua famiglia, figlia di un leader, e da suo padre aveva ereditato l’attitudine al comando, oltre che una vena di…pacifismo? No, C’rel avrebbe volentieri strappato il cuore ad ogni membro della specie che tanti dolori aveva loro inflitto! Ma non avrebbe ceduto alla vendetta, questo sì. Non avrebbe alimentato il circolo di odio, in questo era come suo padre, una creatura di raziocinio prima che di passioni.

C’rel poteva vedere i suoi sforzi ripagati nella grande fiducia che la sua gente le concedeva. Le bastava parlare loro, stare loro vicino, partecipare ai piccoli riti familiari, come la preparazione del cibo, la sabbiatura delle scaglie…piccoli gesti per trasmettere unità, la loro migliore arma nei difficili giorni del pellegrinaggio*

Lo sentì per prima! Forse era una mutazione, forse solo un istinto affinato dalle difficoltà, fatto stava che la testa di C’rel saettò in una precisa direzione. Il suo volto si fece cupo, e in pochi istanti la sua tensione si trasmise ad ogni Esule. Molte lingue forcute saettarono a saggiare istintivamente l’aria…

Seguendo uno schema ben collaudato, ogni femmina più vicina ad un piccolo lo prese con sé per portarlo al centro della formazione, mentre un anello di maschi si predisponeva alla difesa…

Gli occhi di C’rel si focalizzarono in un’area d’ombra fra le cime degli alberi, scorgendo immediatamente il calore corporeo dell’intruso -un umano, naturalmente! “Fatti vedere, chiunque tu sia.”

La figura saltò giù dalle fronde. Poco dopo, emerse dai cespugli, sull’altra riva del fiume…e non era da sola.

Era un uomo, un esemplare caucasico, dai lunghi capelli biondi, il volto dai tratti nobili e duri di un leader nato per comandare. Il suo solo abbigliamento consisteva di shorts azzurri, stivali dello stesso colore e con la stessa aria molto ‘vissuta’, e un largo pugnale fissato in vita.

Al suo fianco, procedeva un maschio di smilodonte, volgarmente noto come tigre dai denti a sciabola, dalla pelliccia dorata.

I maschi si tesero, pronti alla battaglia. C’rel avanzò senza mostrare alcun segno di timore -era giunto il momento di smetterla di scappare, e lo avrebbe fatto capire per bene a questo nuovo arrivato! “Se ci sono altri, umano, che vengano. Noi non siamo certo indifesi.”

“Sono da solo, e neppure io ho timore di voi, stranieri. Sappiate che io sono Ka-Zar, il signore della Terra Selvaggia. E se è asilo quello di cui avete bisogno, sarò lieto di offrirvelo.”

 

Finalmente uscirono dal corridoio, per trovarsi su un’enorme piattaforma circolare. Stegron ed Alara si fermarono, guardandosi intorno.

La piattaforma era parte del più grande edificio del villaggio, sopraelevato di diversi metri rispetto al resto delle abitazioni a loro volta erette su palafitte. Tutt’intorno all’edificio principale, scorreva la piccola vita quotidiana. I due sauri potevano trovarsi su un’isola deserta, invece, per quello che li riguardava.

Stegron ed Alara si scambiarono un’occhiata. Lui guardò verso il cielo, con uno sguardo strano, fisso, come se con quello sguardo stesse comunicando…chiamando…

E così fu! Pochi minuti dopo, le attività nel villaggio subirono un brusco arresto, molti indicarono il cielo.

Uno pteranodonte stava calando dal cielo! L’enorme rettile passò abbastanza vicino all’edificio da permettere a Stegron di raggiungerlo con un salto. Alara lo seguì al volo.

Poco dopo, i fuggitivi lasciarono definitivamente il villaggio.

 

Le acque erano torbide. Neanche dopo un metro di profondità, sembrava di nuotare dentro il fango.

Ma Khadar non smise di nuotare. La proiezione olografica aveva mostrato un’astronave che, teoricamente, avrebbe dovuto riempire quel lago…

Improvvisamente, una luce abbagliante si accese nelle liquide tenebre! Khadar confidò che si trattasse di un faro di segnalazione… Ed eccola, infatti! Una lampada alogena posta su uno scafo argenteo enorme.

Khadar si avvicinò. Al suo avvicinarsi, si accese un’altra luce, ma più debole. Poi un’altra. E un’altra…fino a quando un cerchio di luce non segnalò il boccaporto da cui passare, l’Esule ne era sicuro.

Khadar entrò attraverso l’apertura spalancata, ritrovandosi in una stanzetta cubica. Subito dopo, dietro di lui, il boccaporto si chiuse!

Khadar osservò quel processo vincendo il desiderio di fuggire da quella che poteva essere una trappola mortale. Dovette fare uno sforzo cosciente per ricordarsi che se questa ‘Magog’ avesse voluto ucciderlo, lo avrebbe fatto in superficie, senza dovere elaborare questa scenografia…

Appena il portello si fu chiuso, con uno scatto attutito dall’acqua, si accesero delle luci sul soffitto. Poi il livello del liquido nella stanza iniziò a scemare.

 

Una luce gialla si accese sul portello, che si aprì l’istante successivo.

Un gocciolante Khadar emerse in un antro di alta tecnologia. Per un momento, provò un senso di familiarità alla vista di quei manufatti, familiarità e rimpianto per la civiltà che la sua gente aveva costruito, giorni lontani millenni…ma quell’emozione durò poco. Si sarebbe permesso questi lussi in giorni migliori, non ora!

“Allora, Magog. Sono qui.”

L’ologramma gli apparve ad un metro di distanza. “Seguimi, per favore.”

 

Procedettero per alcuni minuti in un ambiente più grande di quanto lui avesse immaginato. Tutta la struttura era pericolosamente inclinata verso il basso, e Khadar, più di una volta, dovette fare attenzione a non cadere.

Giunsero finalmente in una stanza occupata solo da un apparecchio a cono tronco. “Io sono lì,” disse l’olo, indicando l’apparecchio.

Khadar vi si avvicinò, prudente. Vide cosa ospitava quel dispositivo, e la sua perplessità assunse una sfumatura divertita. “Che sciocchezza è questa?”

Le pareti imbottite della cavità del dispositivo ospitavano un uovo. Il suo alloggiamento era uno di due, l’altro era vuoto. Il guscio dell’uovo era bianco, dai riflessi indubbiamente metallici.

Khadar fece un sorrisetto divertito all’olo. “Non sai uscire da un uovo? E come ti proponi di aiutarci se basta così poco ad intrappolarti?”

L’olo era mortalmente serio. “La forma della matrice è un tributo alle memorie ancestrali. La sua complessità va ben oltre le tue esperienze, Khadar.

“Il guscio contiene una serie di sensori atti ad analizzare il materiale genetico delle forme di vita che vengono in contatto con esso. Altresì, gli stessi sensori possono recepire i segnali inviati da altri sensori, in modo da dovere evitare il processo del contatto fisico, nel caso uno dei due incubati fosse uscito prima dell’altro. Un’altra soluzione del guscio è il campo di stasi, collegato al meccanismo di apertura: se il campo non si disattiva, il guscio non si apre.”

“L’umano che ho visto nelle immagini…lui aprì il guscio.”

“Così come puoi fare tu. Il guscio dovrebbe aprirsi automaticamente, ma in alternativa può essere aperto dall’esterno.”

“Una misura imprudente,” Khadar voleva esaminare ogni sfaccettatura, ogni indizio nascosto, prima di correre un rischio. Anche per questo aveva deciso di gettarsi nelle fauci del nemico: se doveva morire, lo avrebbe fatto da solo, distraendo il nemico, lasciando Sai ad informare la sua gente di un’area pericolosa…

“Le matrici dovrebbero aprirsi od essere aperte solo quando la maturazione è completa. A quel punto, il campo di stasi si disattiva. Quando il Terrestre ha estratto il mio compagno dalla sua matrice, questi ha portato a termine il suo sviluppo nei tempi previsti dalla nostra biologia, senza l’ausilio del campo.

“Io invece sono pronta. Una volta aperto il guscio, emergerò nella mia maturità.”

“Prima parlami della tua missione.”

“Cosa..?”

Khadar fissò l’olo. “Hai detto che stavi cercando i tuoi simili. Parlami di loro, delle vostre intenzioni.”

Se si aspettava una reazione nervosa, frustrata, aveva aspettato male: l’ologramma fu subito sostituito da una nuova immagine: una specie di mostro, un abominio dalla pelle giallastra, e occhi liquidi e scuri, arti deformi…il suo stesso corpo sembrava il mosaico impazzito di un’evoluzione insensata… Se mai Khadar aveva visto qualcosa di brutto e di minaccioso, questa creatura lo era.

“Questi erano i Plodex, fino a diecimila anni fa. Figli di un mondo altamente instabile, con un ecosistema soggetto a continue sollecitazioni. Mutare forma, essere continuamente adattabili, era la sola soluzione applicabile. La loro specie è di conseguenza molto aggressiva, determinata.

“Fondarono una civiltà basata su un solo scopo: lasciare il pianeta madre, colonizzare altri mondi per imporsi sulle forme di vita locali, usando quella stessa mimesi che li portò al successo in patria.

“La Terra fu uno di tali pianeti…ma anche quella prima volta il fato ostile impedì il successo. I Plodex furono intrappolati nella loro nave, e delle uova che avevano lanciato solo una entrò in contatto con la forma di vita dominante. Non fu sufficiente.

“Ma gli altri sono ancora nella loro nave-colonia, in attesa di essere risvegliati.

“Puoi considerare me ed il mio compagno, la nostra gente, alla stregua di un ramo parallelo. Dopo che i nostri antenati presero il controllo del mondo a cui furono destinati, per qualche ragione la loro struttura genetica si stabilizzò. La loro società evolse ad uno stadio…migliore, ancora combattivo ma più maturo. E la nostra priorità è trovare le colonie Plodex e restituirle al loro mondo. Non abbiamo intenzioni ostili. Questa è la verità.”

Khadar prese l’uovo in mano. Il metallo era caldo, ronzava leggermente nel suo palmo. Così fragile…un po’ di pressione e qualunque cosa ci fosse stata dentro sarebbe morta…

Ci rifletté attentamente. Antesys sapeva se gli Esuli non avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile…

Sapeva cosa C’rel avrebbe fatto. A questo punto, lei avrebbe dato fiducia a questo alieno misterioso, avrebbe concesso il beneficio del dubbio se non altro per non cadere definitivamente nella paranoia.

E se invece fosse stato liberato un male peggiore degli uomini?

Khadar trattenne un sospiro: in fondo, lui aveva accettato di arrivare fin lì per aiutare Alara…

L’Esule posò l’altra mano sulla metà superiore del guscio. E aprì.

 

Una luce intensa si accese sotto la superficie dell’acqua!

I fratelli Sai si tesero. Prima di partire in missione, Khadar era stato chiaro: tornare indietro all’accampamento, di corsa, se il loro leader militare fosse deceduto…e non era forse un’esplosione, la causa di quella luminosità?

Ma no, l’acqua era rimasta immobile qualche istante troppo a lungo, per*

L’acqua esplose. Si sollevò in una titanica colonna la cui base occupava quasi tutta la palude! Ne ricadde così tanta che sembrava si fosse scatenato un temporale. Frammenti di metallo precipitarono insieme al liquido, a fango e vegetazione.

Quando l’acqua smise di cadere, al suo posto c’era qualcosa che bloccava la luce del Sole.

Un gigante come mai i quattro Esuli non avevano visto…



[i] UOMO RAGNO Corno #104